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  • Perché con l’IA in Medicina stiamo sbagliando bersaglio

    Perché con l’IA in Medicina stiamo sbagliando bersaglio

    Una recente ricerca di Anthropic ha rivelato un fatto che dovrebbe far riflettere chiunque si occupi di intelligenza artificiale: bastano 250 documenti “avvelenati” – una frazione infinitesimale, lo 0,00016% di un dataset – per sabotare il comportamento di un grande modello linguistico.

    Questo fenomeno, il cui nome è data poisoning, dimostra una verità matematica spietata: la qualità di un’IA è intrinsecamente legata all’integrità dei dati su cui si allena. Basta una quantità minuscola di dati sbagliati per corrompere il tutto.

    Ora, facciamo un salto dalla sicurezza informatica alla salute pubblica.

    Se l’introduzione di una manciata di dati tossici può essere così devastante, immaginate l’effetto catastrofico dell’assenza totale di una massa enorme di dati veri e puliti.

    È esattamente quello che sta succedendo oggi all’IA in medicina.

    Il “Data Poisoning” Invisibile della Sanità

    Mentre Anthropic testava quanto sia facile avvelenare un dataset, il nostro sistema sanitario sta inconsapevolmente commettendo un errore opposto ma altrettanto pericoloso: sta morendo di fame.

    Gli algoritmi che promettono di rivoluzionare la diagnostica sono addestrati quasi esclusivamente sui dati digitali dei grandi ospedali. Ma questo rappresenta solo una parte della storia clinica.

    Dov’è il restante 20-30%?
    È quel paziente dimesso dall’ospedale con una diagnosi incompleta che trova la soluzione in un ambulatorio territoriale. È quella diagnosi corretta, arrivata dopo settimane di esami mirati, che svanisce nel mare della carta di uno studio non digitalizzato.

    Questo non è un semplice buco, è un’avvelenamento per assenza.
    Stiamo costruendo un’IA “zoppa”, addestrata su una realtà clinica mutilata. Se bastano 250 documenti corrotti per deviare un modello, l’assenza di milioni di diagnosi corrette dal territorio rende l’IA medica intrinsecamente inaffidabile e pericolosamente parziale.

    La soluzione è curare la fonte o il sintomo?

    Il problema non è la tecnologia IA ma la catena di approvvigionamento dei dati.

    Le piccole strutture sanitarie – il cuore pulsante della cura sul territorio – non sono digitalizzate a causa di costi proibitivi, complessità normative e mancanza di tempo.

    La startup Medigenium ha creato MeRis per risolvere questo problema alla radice.

    Quanto costa l’antidoto al “data poisoning” strutturale dell’IA medica? ZERO.
    Anzi regala tra 10 e 20 mila auro agli ambulatori che la scelgono.

    MeRis è un dispositivo che, fornito in comodato d’uso gratuito, si collega agli strumenti medici esistenti e genera dataset completi e puliti, l’antidoto al “data poisoning” strutturale dell’IA medica.

    Non stiamo lottando contro un’IA che sbaglia. Stiamo lottando per dare all’IA tutti i dati di cui ha bisogno per non sbagliare.

    La lezione di Anthropic è chiara: l’integrità del dato è tutto. La nostra missione è garantire che l’IA in medicina sia nutrita con il 100% della verità clinica, non solo con la parte comodamente digitale.

    Perché ogni paziente curato in un ambulatorio periferico ha il diritto di contribuire al progresso della medicina, e di beneficiarne.

  • Verso l’approccio AGNOSTICO

    Verso l’approccio AGNOSTICO

    Negli ultimi giorni Microsoft ha annunciato che non si affiderà più a un unico modello di intelligenza artificiale (OpenAI), ma integrerà anche Anthropic, aprendo la strada a un futuro multi-modello.
    Nell’articolo, questa scelta viene descritta esplicitamente come un approccio “agnostico”: non vincolarsi a un solo modello, ma sfruttare di volta in volta quello più adatto.

    https://thereview.strangevc.com/p/microsofts-model-switch-why-ai-middleware

    Tra le motivazioni principali spiccano due aspetti:

    • Flessibilità: la possibilità di usare il modello giusto per il compito giusto.
    • Evoluzione naturale: entro 12 mesi ogni prodotto enterprise AI supporterà almeno due modelli.

    Quando ho letto queste parole, ho sorriso.

    Perché questa stessa intuizione io l’avevo già colta alla fine del 2024. Dopo tanti rimandi, a marzo, sfruttando l’occasione di una demo, ho deciso di mettere mano a una prima bozza del progetto.

    Il 26 giugno ho completato l’MVP, che ancora oggi recita:

    “u-prompt: Ciao. Questo MVP serve a dimostrare che u-prompt è un sistema chatbot-agentico alimentato dall’intelligenza artificiale –>e agnostico<–, nel senso che durante la tua chiacchierata puoi decidere di –>utilizzare agenti differenti<– per rispondere a singole domande ad esempio per sfruttarne –>le caratteristiche speciali<–.”

    Nei giorni successivi, confrontandomi con alcuni amici, abbiamo deciso di portare avanti il progetto e fissato la data del go-live: 15 settembre. Una scelta fatta mesi prima che Microsoft rendesse pubblica la sua svolta.

    Domani, 18 settembre, la startup viene presentata a Palermo ai cantieri culturali alla Zisa nell’ambito di un evento sull’AI.

    La differenza?

    Mentre Microsoft annuncia oggi di voler lavorare con due modelli, in u-prompt abbiamo già messo insieme, per la prima volta, cinque modelli diversi in un unico prompt.

    Questo percorso – dall’MVP al progetto online – dimostra che non viviamo di parole, ma di fatti. E soprattutto dimostra, prepotentemente, una capacità di anticipare il futuro e affrontare le sfide senza paura.

    Interessati? -> hey[at]u-prompt.com

    Early adopters? -> u-prompt.com

  • Silver Startupper: Quando l’esperienza fa davvero la differenza (anche nell’AI)

    Silver Startupper: Quando l’esperienza fa davvero la differenza (anche nell’AI)

    Siamo abituati a immaginare gli startupper come giovani ventenni, entusiasti e privi di timori, ma oggi dati e realtà ci dicono qualcosa di diverso: l’età media dei fondatori di startup di successo si aggira sui 45 anni.

    Per anni, il messaggio diffuso è stato chiaro: “l’innovazione appartiene ai giovani”. Ma basta guardarsi intorno per capire che la narrativa sta cambiando. Herbert Boyer fondò Genentech, poi valutata 47 miliardi di dollari, quando aveva 40 anni; David Duffield avviò Workday a 64 anni, creando un colosso oggi valutato oltre 43 miliardi. Persino nel settore dell’intelligenza artificiale si inizia a comprendere che l’esperienza non è un ostacolo, bensì un vantaggio competitivo.

    I fondatori senior portano al tavolo qualcosa di unico: l’esperienza accumulata negli anni, una profonda conoscenza del mercato e, soprattutto, una gestione matura del fallimento. Dopo aver già sperimentato le insidie del mercato e vissuto sulla propria pelle almeno un insuccesso, chi supera una certa età affronta le nuove sfide con una consapevolezza diversa. Sa cosa evitare, quali rischi correre e soprattutto come affrontare i momenti difficili.

    Questa maturità si riflette direttamente anche nella gestione finanziaria: gli imprenditori senior hanno esperienza, sono più cauti con i capitali e dispongono di reti di contatti consolidate, aspetti cruciali per una startup che vuole crescere rapidamente.

    Eppure, nonostante questi vantaggi evidenti, in Italia persiste una sorta di discriminazione anagrafica. Le istituzioni puntano quasi esclusivamente sui giovani under 40 e sulle donne, ignorando completamente l’enorme potenziale dell’esperienza che possono apportare gli imprenditori maturi. Oggi, infatti, non esiste praticamente nessun incentivo pubblico italiano specificamente rivolto agli imprenditori che superano i 55 anni, mentre per donne e giovani sotto i 35 anni sono stati stanziati centinaia di milioni di euro tramite il PNRR.

    Personalmente, ho sperimentato quanto possa essere frustrante cercare risorse per avviare progetti innovativi nel nostro paese in generale e specialmente superati certi limiti di età, tuttavia, questa esperienza mi ha spinto ancora di più verso l’innovazione, portandomi a creare u-prompt, una piattaforma destinata a democratizzare l’accesso corretto e professionale all’intelligenza artificiale, la prima del suo genere in Italia e probabilmente in Europa.

    u-prompt ha già un chatbot multicanale che fa risparmiare almeno 40€ al mese ai professionisti, ma presenterà un agente-chatbot innovativo capace di replicare tutte le funzionalità avanzate dei principali strumenti AI presenti oggi sul mercato, ad una frazione del costo attuale. Questo consentirà ai professionisti del settore di risparmiare da un minimo di 100€ fino a 800€ al mese, mentre gli appassionati e gli hobbisti potranno finalmente accedere a tecnologie AI finora economicamente fuori dalla loro portata.

    L’MVP di questo agente-chatbot è già disponibile per chi vorrebbe investire nella start-up.

    Un tasso di successo del 70%
    Tra gli oltre 1,5 milioni di imprenditori nel mondo, quelli sopra i 50 anni hanno maggiori probabilità di avere successo rispetto alle controparti più giovani. Oggi negli Stati Uniti un’impresa su tre è avviata da qualcuno di 50 o più anni. Ma c’è di più. Se solo il 28% delle start up create dai giovani durano più di tre anni, per quelle accese da over 60 il tasso di successo è del 70 per cento. È quanto mette nero su bianco il rapporto “The Longevity Economy” realizzato dall’Aarp and Oxford Economics. «Poter fisicamente e psicologicamente lavorare significa anzitutto riconoscere il proprio contributo alla società di cui si è parte, poter produrre reddito, non gravare sulle pensioni e quindi sui giovani per dover finanziare i più vecchi. Significa anche avere capacità di spesa, permettere all’economia di rimanere in un ciclo attivo», precisa Palmarini, che prospetta un futuro ancora più determinato dalla generazione silver.

    Come correttamente riportato nell’articolo su Sole24Ore e non mi sento affatto escluso dalla corsa all’innovazione per via della mia età, al contrario, sono convinto che proprio l’esperienza maturata negli anni possa fare la differenza nella capacità di leggere il mercato, anticipare i bisogni degli utenti e costruire soluzioni realmente efficaci.

    u-prompt è il risultato di questa convinzione, un progetto che mostra chiaramente come il valore dell’esperienza, del fallimento e della resilienza possa tradursi in innovazioni concrete e di successo, sfidando ogni pregiudizio anagrafico.

  • Creare, non seguire – Lezioni dal mio percorso imprenditoriale

    Creare, non seguire – Lezioni dal mio percorso imprenditoriale

    L’innovazione parte da dentro, non dalla moda del momento

    Spesso si pensa che fare impresa significhi inseguire trend o replicare quello che “va di moda”. Ma come sottolinea bene Alessandro Benetton, “Penso che inventare qualcosa di nuovo (non innovativo ma nuovo) sia veramente difficile”

    Da anni, quando penso o immagino ogni mio primo progetto, parto dalla consapevolezza non sta nell’agganciarmi alle tendenze mainstream, ma nel creare valore da zero: osservando bisogni reali, sperimentando strade mai battute, e restando fedele alla mia visione.

    Benetton lo ribadisce: imprenditore significa avere coraggio, indipendenza e discontinuità, dissentire e costruire percorsi non lineari e per me ha ragione.

    Il momento della mia svolta è arrivato quando ho deciso di non seguire gli altri, ma di provarci da solo, imparando strada facendo, anche sbagliando.

    Le cose più significative sono nate così: da una consapevolezza profonda, dall’ascolto di stimoli esterni, da una fusione tra audacia e metodo, con l’intento di risolvere un problema e trarne il massimo vantaggio per tutti, azienda e cliente:

    Teche Rai
    DocuBox
    Flussu
    Medigenium
    u-prompt

    Se sei un imprenditore o stai iniziando un progetto, il consiglio è semplice: non inseguire la moda, ma coltiva qualcosa di tuo. Coltiva la discontinuità, resta fedele alla tua visione, e costruisci valore.

    I veri risultati arrivano quando intrecci coraggio e metodo, anche se ti dicono che sei “troppo avanti”, come fanno con me, non cambiare, combatti le menti vecchie!